I primi uomini della “Folgore” alla Caserma Artale di Pisa
Alla fine dell’anno 1975 fui contattato dal carissimo Ten Col Ivo Scarpa (oggi in riserva con il Grado di Ten. Generale) che mi propose il trasferimento al costituendo Btg. L Par. “Folgore” ove, data la carenza di Ufficiali con il bagaglio di esperienza nel campo della logistica da me posseduto, avrei fatto la mia parte. Accettai di buon grado e nel febbraio del 1976 venni trasferito. Lasciai il Paradiso e andai a finire in Purgatorio.
Trovai davvero un mucchio di lavoro e anche del disordine ma, confortato dal C.te, persona veramente di prim’ ordine, ottimo psicologo, sempre sereno, anche in momenti impegnativi in considerazione della diversità dei reparti e mentalità che albergavano in quelle Caserme (Artale e Bechi Luserna).
Comunque fui subito a mio agio anche perché trovai colleghi preparati, decisi, rispettosi e collaboratori che avevano una grande volontà a far bene.
Oltre al C.te Scarpa vi era il Comandante della Compagnia Esplorante Capitano Enrico Celentano, il Capitano Gianni Fantini, Comandante della Compagnia Contro Carri ed il Capitano Gianni Quaresimin, Comandante della Compagnia Genio.
In tantissimi anni di carriera avevo notato poche persone cosi ligie al dovere e rispettose dei propri uomini.
Tutti i componenti di questi reparti collaboravano all’unisono per raggiungere l’obbiettivo e il compito assegnato: ristrutturare le due Caserme che lasciavano molto a desiderare nel complesso. Una delle due, l’Artale era ubicata all’interno della città, assegnata per l’alloggiamento del personale in forza ai reparti, la custodia delle armi e materiali vari; ivi era prevista la realizzazione previa ristrutturazione, di locali da destinare a Sala mensa (refettorio) Self-Service e Cucina con annessi e connessi, camerate e stanze per il personale tutto.
Uffici, Infermeria di corpo, sala convegno per i militari con tutte le attrezzature per lo svago, sala lettura, sala biliardo, sala tv ecc …, il circolo e la mensa unificata per U e SU e ancora una sala cinematografica dove oltre la proiezione di films si tenevano rapporti, conferenze e la domenica la sala veniva adibita al culto per i credenti.
La Caserma Artale era dotata di un grande cortile ornato da alberi di specie diverse, comprese due palme. Uno spazio fu destinato a parcheggio di mezzi in dotazione a quattro reparti per il trasporto del personale da e per la Caserma. L’ altra Caserma o Compedio Bechi Luserna è in via Aurelia, adiacente alla sponda destra dell’Arno, dove sarebbero dovuti essere ristrutturati locali e Capannoni da destinare alla ripartizione di tutti i mezzi meccanici, ricovero dei mezzi del Genio, della Motorizzazione e quant’altro; inoltre laboratori per la riparazione di materiali vari, rifornimento di carburanti, rifornimento pezzi di ricambio, falegnameria, servizi, docce, piani lavaggio mezzi ecc …
Oltre la parte in muratura e di ricovero fu ristrutturata a zona sportiva (un quattro – cinque ettari di terreno) dove furono realizzati, quasi tutto dalla Cp. Genio, un campo regolamentare da calcio, circondato da una pista da 400 mt., buche per salti vari, uno stupendo percorso ad ostacoli molto impegnativo, campo da tennis, campi da pallacanestro, pallavolo.
Inoltre vi furono trapiantati un centinaio di alberi di vario tipo. Ancora oggi dopo tanti anni, transitando per Lungarno Cosimo I, la dovizia degli alberi all’interno di quella Caserma la rende molto gradevole.
Tutti fummo coinvolti. Il contributo in ogni settore fu totale. L’armonia che regnava, lo spirito di Corpo che ci accomunava erano stimoli a dare il meglio di noi stessi.
La competizione nello sport, in quel frangente, fu incentivo per tenere alto il morale a non far calare la grinta. Nessuno si stressava per quel ritmo di lavoro cosi impegnativo. Malgrado ciò nessuno di noi era esentato dal compito principale della nostra specialità l’addestramento specifico e quello “complementare”.
Preparazione all’aviolancio, supposti tattici, pattuglie con esercitazione topografiche di giorno e di notte, esercitazione di tiro, condotte evasive, attività teoriche per arricchire il bagaglio culturale tecnico professionale: regolamenti, governo del personale, topografia e altro.
I ricordi e le persone di quegli anni sono intensissimi li penso con nostalgia ed affetto, tutti. Come non ricordare per esempio il Cap. Quaresimin (oggi generale). Era sempre con qualche attrezzo o mezzo a lavorare, usava qualsiasi utensile e qualsiasi mezzo in dotazione al reparto; il suo reparto a stato l’artefice della ristrutturazione di quella Caserma .
Persona sempre sorridente, sempre disponibile, molto ligio al dovere.
A sera era talmente stanco che si addormentava cosi com’era al lavoro per qualche ora perché poi si alzava e a qualsiasi ora se ne andava al reparto ad assolvere i compiti di Comandante di Uomini soddisfacendo richieste, licenze, premi, per i meritevoli, aiuto a qualche bisognoso: insomma, un Comandante, ma sapeva anche essere, soprattutto umano.
Il Capitano della Motorizzazione Mario Righele, quando lo cercavi era sempre al “pezzo” cioè in tuta bleu, anche lui con attrezzi in mano e riparava i mezzi tenendo sempre alto il rendimento dei suoi dipendenti con l’esempio di un forte senso di responsabilità, molto attaccato al reparto e sopratutto alla specialità. Oggi, penso sia pago, per quanto ha realizzato.
Che dire poi del Capitano Enrico Celentano, un “missionario” di grande fede. Ufficiale che si è dedicato totalmente alla vita militare. Comandante di grande carisma, coriaceo, di esempio e soprattutto aperto. I suoi uomini, malgrado pretendesse, avevano di lui, una stima altissima.
Il Capitano Fantini di noi era il più silenzioso, ma il suo lavoro si vedeva, eccome.
Fra i tanti ricordi che annovero nella mia memoria ne ho quattro o cinque che sono rimasti indimenticabili:
- la consegna ed il ritiro della Bandiera di combattimento per il Btg;
- il Maggio del 1976 quando con il Cap. Righele, con un’ autocolonna, senza sosta, portammo 620 tende canadesi (ritirate da Camp-Darby) per i terremotati del Friuli;
- quel mattino di domenica, durante una gara di calcio, sul campo alla Bechi Luserna ci piombarono addosso quaranta paracadutisti destinati alla SMIPAR. Chi sbagliò? Ma!
Ma ora voglio raccontare l’episodio riservato per ultimo perché penso incredibile, per persone, così dette “normali” il fatto non è purtroppo documentato, ma i protagonisti ed i testimoni, io, più di tutti, possiamo garantire l’accaduto fuori da ogni canone di normalità. E’ vero che i paracadutisti si tuffano nei vuoto ma ciò che accadde quel primo pomeriggio di un giorno x di un mese y, di un anno z ha un sacco di aggettivi disponibili: incoscienza, baldanza, temerarietà, improvvisazione, fantastico. L’episodio fu affascinante, fu super spettacolare, scioccante. Il mio ufficio era sistemato al II piano della palazzina Comando dell’Artale e la finestra, l’unica, dava nel cortile antistante la palazzina. Mentre ero intento a trattare una enormità di pratiche dei quattordici servizi dell’Esercito di campagna (meno le onoranze ai caduti) sempre su di giri perché tutti numeri, livelli, esuberanze, deficienze ecc … , sento bussare alla porta e contemporaneamente viene chiesto “permesso?” “avanti dissi io” si apre l’anta della porta e mi si para davanti quella statua del Cap Celentano. Dimmi Enrico, hai bisogno di qualcosa? Non ricordo cosa disse ma sicuramente come era solito fare mi avrà detto “permetti?” io, senz’altro, avrò detto di si. Si portò di fianco alla finestra e disse: avanti!
Diede uno sguardo di sotto per sincerarsi che quanto predisposto e organizzato fosse in ordine. Quello che mi ha lasciato perplesso è stato che lui non ha manifestato nessuna emozione particolare. Mi sono visto sfilare un numero imprecisato di paracadutisti che saltano letteralmente nel vuoto a intervalli regolari e regolati. E io, li ancora incredulo; in ultimo, mi guarda, mi ringrazia: ciao Comandante; e anche lui sparisce. Sono rimasto annichilito. Un attimo, sento una botta tremenda anche lui era arrivato. Mi affaccio e mi rendo conto della mattana. Gente mia, minimo sono dodici metri di altezza, di caduta libera, su telo che da lassù sembrava un fazzoletto. Il bello fu che davanti l’ingresso di via Derna si era formato un capannello di persone che si godevano plaudendo, lo spettacolo da circo. . . che matti! Finito l’atto sportivo le persone li ferme furono invitate ad allontanarsi perché il circo aveva terminato lo spettacolo. Arrivò qualche telefonata di rimprovero, ma il Col. Scarpa con molta intelligenza seppe giustificare il tutto anche se sicuramente al Capitano qualcosa gli disse (con ammirazione).
Questo è l’episodio che ricordo con maggiore continuità perché, anche adesso qualche volta, mi reco in Caserma (Artale) per fare visita a qualche vecchio amico di allora e quelli che allora erano giovincelli.
Viene sempre il desiderio di guardare quella finestra e raccontare a chi non sa ciò che quella finestra rappresenta per me.
Ten. Col. F. Par. Arturo Bongiorno