Giovanni Alberto Bechi Luserna
Giovanni Alberto Bechi Luserna (Spoleto, 21 dicembre 1904 – Macomer, 10 settembre 1943) è stato un ufficiale e scrittore italiano.
La famiglia
Figlio di Giulio Bechi, anch’egli ufficiale e scrittore, e di Albertina Luserna dei conti di Campiglione e Luserna, apparteneva a famiglia tosco-piemontese di tradizione militare. Un appartenente ad altro ramo della famiglia, Alessio Bechi, era stato militare napoleonico e successivamente maggiore dell’artiglieria granducale; morì in Toscana nel 1850 (senza fonte), contrariamente a quanto riferito erroneamente da Paolo Caccia Dominioni, secondo il quale sarebbe morto nella Campagna di Russia. Un figlio del precedente, Stanislao Bechi, fu ufficiale garibaldino fucilato dai russi nel 1863 a causa della sua partecipazione all’insurrezione per l’indipendenza della Polonia.
Biografia
L’inizio della carriera
Bechi frequentò la Nunziatella a Napoli e l’Accademia Militare di Modena, e fu assegnato all’Arma di Cavalleria. Partecipò alle guerre coloniali in Libia e in Etiopia. Per il servizio in Cirenaica al comando di uno squadrone di Savari, ricevette due medaglie di bronzo al valor militare, nel 1929 e nel 1930; una terza ne ottenne nel 1935 in Africa Orientale, dove ebbe il comando di una banda irregolare a cavallo.
Considerato uno degli ufficiali più brillanti del Regio Esercito, destinato, nel giudizio dei superiori, «a raggiungere i più alti gradi della gerarchia», richiamò l’attenzione del ministro degli esteri Galeazzo Ciano, del cui ambiente entrò a far parte anche grazie ai legami di parentela della moglie diciannovenne, Paola dei conti Antonelli (la famiglia del famoso cardinale Giacomo Antonelli) con un ramo della famiglia Colonna. In questo periodo fu concessa l’aggiunzione del cognome Luserna, della nobile famiglia materna.
Ricevette quindi l’incarico di addetto militare a Londra, e, nel 1940, di direttore dell’Ufficio Finlandia (paese allora in guerra con l’Unione Sovietica, al quale l’Italia inviava segretamente materiale bellico) al ministero degli esteri.
El Alamein
Durante la seconda guerra mondiale, dopo un breve periodo al Servizio Informazioni Militare, chiese il passaggio alla nuova specialità dei paracadutisti, dove, pur a confronto con uomini tutti di tempra eccezionale, emerse rapidamente come la figura forse più carismatica[senza fonte]. Al comando del IV Battaglione Paracadutisti della Divisione “Folgore” (il battaglione più scelto, da lui formato e addestrato, dove ebbe come comandanti di compagnia Guido Visconti di Modrone e Costantino Ruspoli di Poggio Suasa) raggiunse l’Africa settentrionale il 15 luglio del 1942 ed in ottobre, come comandante interinale del 187º Reggimento paracadutisti “Folgore”, condusse la difesa del settore settentrionale della divisione (tratto compreso fra la cosiddetta “Sacca minata,” che separava il settore Bechi da quello del Raggruppamento Ruspoli, e le quote di Deir el Munassib) durante la battaglia di El Alamein, per cui ricevette una quarta medaglia di bronzo.
L’epigrafe posta all’ingresso del Sacrario Militare Italiano di El Alamein è tratta da uno scritto di Bechi Luserna (I ragazzi della Folgore):
Fra le sabbie non più deserte
son qui di presidio per l’eternità i ragazzi della Folgore
fior fiore di un popolo e di un Esercito in armi.
Caduti per un’idea, senza rimpianto, onorati nel ricordo dello stesso nemico,
essi additano agli italiani, nella buona e nell’avversa fortuna,
il cammino dell’onore e della gloria.
Viandante, arrestati e riverisci.
Dio degli Eserciti,
accogli gli spiriti di questi ragazzi in quell’angolo di cielo
che riserbi ai martiri ed agli Eroi.
Nella “Nembo”
Richiamato in patria (4 novembre 1942) durante l’epica ritirata della Divisione nel deserto, Bechi, ormai tenente colonnello, assunse l’incarico di Capo di Stato Maggiore della divisione paracadutisti “Nembo”, di cui divenne il principale animatore (senza fonte).
L’8 settembre 1943 la Nembo era di stanza in Campidano, a circa quaranta chilometri da Cagliari. La notizia dell’armistizio di Cassibile fu accolta negativamente da molti paracadutisti; in particolare, il XII battaglione (comandato dal Maggiore Mario Rizzatti), insieme ad una batteria del 184º Artiglieria, decise di unirsi ai tedeschi della 90ª Divisione Panzergrenadier, che si stavano ritirando verso la Corsica. Il generale Ercole Ronco, comandante la Divisione, cercò di richiamare all’ordine il reparto, ma senza risultato; anzi, secondo la Relazione Ufficiale, fu temporaneamente posto agli arresti dagli ammutinati. Nel tentativo di indurre il battaglione, in ritirata sulla Carlo Felice, a recedere dalla scelta compiuta, il colonnello Bechi riuscì a raggiungerlo nella zona di Castigadu, alle porte di Macomer. Lì venne fermato da un posto di blocco stradale istituito al bivio di Borore da un distaccamento del reparto ammutinato agli ordini del capitano Corrado Alvino. Al culmine di un violento alterco verbale per reclamare il passaggio, il Colonnello Bechi venne ucciso, assieme ad uno dei Carabinieri della scorta, da una raffica del fucile mitragliatore a presidio del blocco, sparata dal paracadutista Cosimo, mentre si trovava ancora sulla Fiat 1100 di servizio. Il secondo carabiniere della scorta rimase ferito, e successivamente si aggregò al XII Battaglione in qualità di scritturale. Il corpo di Bechi, chiuso in un sacco, fu caricato su un camion e successivamente, dopo il rifiuto dei frati di un convento di farsi carico della salma, venne sepolto in mare alle Bocche di Bonifacio, nei pressi di Santa Teresa Gallura.
Qualche tempo dopo, lo stesso Cosimo riportava alla vedova il portafoglio e l’orologio.
Bechi fu decorato con la medaglia d’oro al valor militare alla memoria. Per la sua morte, dopo la guerra fu processato e ritenuto responsabile il capitano Alvino
Lo scrittore
Come già il padre, Bechi svolse anche una notevole attività letteraria, con una nutrita serie di scritti giornalistici apparsi poi in tre successivi volumi: Noi e loro, Britannia in armi e infine I ragazzi della Folgore, nel quale narrò le vicende della divisione nella battaglia di El Alamein.
Quest’ultimo libro, composto dal diario e da una serie di articoli raccolti in volume nel dopoguerra a cura di Paolo Caccia Dominioni, a cui è allegato il diario di guerra del XXXI battaglione guastatori che al comando del maggiore Paolo Caccia Dominioni di Sillavengo si batté al fianco dei paracadutisti fino ad el Alamein, costituisce la principale fonte della leggenda della Folgore a El Alamein.
Bechi fu l’ideatore, nel 1943, del “Foglio di campo dei Paracadutisti d’Italia”, testata che visse fino al 1946 e che recentemente è stata ripresa dalla rivista dell’ANPDI “Folgore”, la quale si considera sua continuazione e dichiara Bechi suo fondatore.
Bechi disegnò anche un fregio per la Folgore destinato al calendario 1942 del IV battaglione.
Come il padre usava firmarsi Miles, così il figlio si firmava talvolta Eques
Onori e genealogie
Ad Alberto Bechi Luserna è intitolata la caserma di Macomer che ha ospitato il 45º Reggimento Fanteria “Reggio” ed attualmente il 5º Reggimento Genio Guastatori. Un’altra caserma porta il suo nome a Pisa (sede del Reggimento Logistico Folgore).
Dalla moglie Paola, sposata nel 1937, ebbe una figlia, Antonella, poi adottata dal secondo marito della madre, l’industriale Enrico Piaggio, e conosciuta da allora come Antonella Bechi Piaggio. Dal matrimonio con Umberto Agnelli Antonella ebbe un figlio, Giovanni Alberto Agnelli, carabiniere paracadutista nel Battaglione Tuscania, tragicamente scomparso a 33 anni nel 1997, mentre si accingeva ad assumere la direzione del gruppo Fiat. Dal secondo matrimonio Antonella ha avuto una figlia, Chiara Visconti di Modrone, ora Pervanas.
Opere
Noi e loro. Cronache di un soldato vagabondo, 1941
Britannia in armi: cronache di pace e di guerra, Edizioni Luigi Alfieri, 1941
La falsa democrazia della Gran Bretagna, 1941
I ragazzi della Folgore (a cura di Paolo Caccia Dominioni), Edizioni Luigi Alfieri, 1943 – L’opera era stampata e pronta per la distribuzione nel 1943, ma una bomba nemica distrusse i locali dell’editore; l’opera fu ricostruita postuma, ma nuovamente tutto andò distrutto a causa di un bombardamento
Onoreficenze
Medaglia d’oro al valor militare
«Ufficiale di elevate qualità morali ed intellettuali, più volte decorato al valore, capo di S.M. di una divisione paracadutisti, all’atto dell’armistizio, fedele al giuramento prestato ed animato solo da inestinguibile fede e da completa dedizione alla Patria, assumeva senza esitazione e contro le insidie e le prepotenze tedesche, il nuovo posto di combattimento. Venuto a conoscenza che uno dei reparti dipendenti, sobillato da alcuni facinorosi, si era affiancato ai tedeschi, si recava, con esigua scorta e attraverso una zona insidiata da mezzi blindati nemici, presso il reparto stesso per richiamarlo al dovere. Affrontato con le armi in pugno dai più accesi istigatori del movimento sedizioso, non desisteva dal suo nobile intento, finché, colpito, cadeva in mezzo a coloro che egli aveva tentato di ricondurre sulla via del dovere e dell’onore. Coronava così, col cosciente sacrificio della vita, la propria esistenza di valoroso soldato, continuatore di una gloriosa tradizione familiare di eroismo»
Sardegna, 10 settembre 1943
Quattro Medaglie di bronzo al valor militare
Una Croce al valor militare
Una Medaglia d’argento al valor civile
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