Padre Padrone

Padre Padrone – Gavino Ledda


Innanzitutto, un innocuo sondaggio: quanti appassionati lettori, specie se abitanti nell'(un tempo) opulento nordest, possono dire di conoscere questo autore sardo? Quanti possono affermare di averne letto il presente romanzo autobiografico, sua quasi unica opera, autentico best-seller nel ’75, quando uscì la prima edizione, altresì vincitrice nello stesso anno del premio Viareggio? Quanti, infine, hanno visto il film che i fratelli Taviani ne trassero e grazie al quale si aggiudicarono nel ’77 la Palma d’oro al festival di Cannes?

Ritengo che al terzetto di domande la risposta sia sempre: quasi nessuno.

Io stesso solo per caso arrivai a conoscere “Padre Padrone” e ciò capitò alcuni anni or sono guardando un programma a quiz condotto da Gerry Scotti, il quale, dopo aver rivolto al concorrente di turno una domanda sull’opera, ne consigliava caldamente la lettura: e poi dicono che la televisione “di massa” sia solo spazzatura! Wow, grazie Gerry!

Incuriosito, cercai dunque di comperare il libro ma mi accorsi che era praticamente assente dagli scaffali di tutte le librerie trevigiane. Scoprii, così, gli acquisti “on line” di cui usufruii per la prima volta.
Alcuni anni dopo ne notai invece alcune copie presso la libreria dell’aeroporto di Olbia, a testimonianza del legame ancora esistente fra Ledda e la sua natìa terra isolana.

Comunque, bando alle ciance… anch’ io, come il buon Gerry, ne caldeggio la lettura. A tutti.

Perchè nell’anima di tutti arde quel fuoco alimentato dalle nostre passioni, dai nostri talenti. Anzi, forse quel fuoco e quell’anima sono la stessa cosa! A volte quel fuoco ci avvampa, ne sentiamo il calore fino a scottarci, altre volte su di esso soffiano venti contrari e gelati e ne percepiamo quindi solo un lieve tepore ed un lontano crepitìo: a noi il compito di ripararlo dalle intemperie e di impedire che un piede nemico lo calpesti spegnendolo definitivamente! A noi la lotta per la vita!

Cosa può spingere infatti un analfabeta, strappato dalla scuola dal padre che ne fa un pastore perché ciò impone la povertà, a divenire un uomo colto fino a conseguire la laurea, se non il primordiale istinto di sopravvivenza? Un naturale bisogno di emancipazione è quel fuoco acceso nell’anima di Gavino, mantenuto vivo dall’amore per la cultura e dalla conquista della parola come arma per rompere il silenzio dell’ignoranza e la passività della sottomissione.

Poco importa se tale “rigenerazione” è stata preceduta da anni di isolamento in una natura selvaggia ed ostile, da anni di violenze perpetrate da quel “padre” presto tramutatosi in “padrone”: eventi traumatici, momenti dolorosi, sacrifici pesantissimi rappresentano elementi imprescindibili della lotta per la vita, vere e proprie molle che ci spingono a cercare la legna per alimentare il fuoco. Se non conoscessimo il buio e le asperità che incontriamo quando camminiamo nell’oscurità come potremmo infatti dire di conoscere il significato della luce irradiata dal fuoco? “Per aspera ad astra” dicevano i latini, ben prima di Ledda e del sottoscritto!

Intendiamoci: l’opera dell’autore sardo non è né un inno al cinico motto “mors tua vita mea”, né la storiella di un rampante “self-made man” de noantri: la lotta per la vita, la ribellione al peso che ci soverchia, lo abbiamo già detto, accomuna tutti e, in quanto “lotta”, prevede “vincitori” e “perdenti”, ma poco importa a quale categoria si appartiene, poco importa l’esito finale; l’importante invece è sentire l’ardore di non darsi mai per vinti, “come il montone nella sua lotta cozza e ricozza, finchè spesso vince proprio quello più piccolo e più testardo”.

Riferendosi inoltre a un destino talora crudele e beffardo nei confronti delle aspirazioni degli uomini (nell’episodio in cui il gelo distrugge l’oliveto della sua famiglia), Ledda scrive ancora: “la nostra tradizione ci indicò la via della riscossa. Il passato stesso dei pastori ci aveva insegnato la rassegnazione, a tornare subito dal sogno alla triste realtà: a riprendere la rincorsa (…). Tutti schierati e al proprio posto, però, si lottò per la sopravvivenza e si reagì con il solito spirito di conservazione”.

Come se, nella “lotta per la vita” non conti tanto la meta, quanto il viaggio che compiamo per giungere ad essa. Un viaggio durante il quale ci troveremo, prima o poi, a trascinare pesanti valigie.

Padre Padrone: L’educazione di un pastore
Gavino Ledda
Anno 1975
Edizione Euroclub (1978) su licenza Feltrinelli

Fonte piegodilibri.it

 

 

 

 

 

Padre Padrone

Padre Padrone – Gavino Ledda


Innanzitutto, un innocuo sondaggio: quanti appassionati lettori, specie se abitanti nell'(un tempo) opulento nordest, possono dire di conoscere questo autore sardo? Quanti possono affermare di averne letto il presente romanzo autobiografico, sua quasi unica opera, autentico best-seller nel ’75, quando uscì la prima edizione, altresì vincitrice nello stesso anno del premio Viareggio? Quanti, infine, hanno visto il film che i fratelli Taviani ne trassero e grazie al quale si aggiudicarono nel ’77 la Palma d’oro al festival di Cannes?

Ritengo che al terzetto di domande la risposta sia sempre: quasi nessuno.

Io stesso solo per caso arrivai a conoscere “Padre Padrone” e ciò capitò alcuni anni or sono guardando un programma a quiz condotto da Gerry Scotti, il quale, dopo aver rivolto al concorrente di turno una domanda sull’opera, ne consigliava caldamente la lettura: e poi dicono che la televisione “di massa” sia solo spazzatura! Wow, grazie Gerry!

Incuriosito, cercai dunque di comperare il libro ma mi accorsi che era praticamente assente dagli scaffali di tutte le librerie trevigiane. Scoprii, così, gli acquisti “on line” di cui usufruii per la prima volta.
Alcuni anni dopo ne notai invece alcune copie presso la libreria dell’aeroporto di Olbia, a testimonianza del legame ancora esistente fra Ledda e la sua natìa terra isolana.

Comunque, bando alle ciance… anch’ io, come il buon Gerry, ne caldeggio la lettura. A tutti.

Perchè nell’anima di tutti arde quel fuoco alimentato dalle nostre passioni, dai nostri talenti. Anzi, forse quel fuoco e quell’anima sono la stessa cosa! A volte quel fuoco ci avvampa, ne sentiamo il calore fino a scottarci, altre volte su di esso soffiano venti contrari e gelati e ne percepiamo quindi solo un lieve tepore ed un lontano crepitìo: a noi il compito di ripararlo dalle intemperie e di impedire che un piede nemico lo calpesti spegnendolo definitivamente! A noi la lotta per la vita!

Cosa può spingere infatti un analfabeta, strappato dalla scuola dal padre che ne fa un pastore perché ciò impone la povertà, a divenire un uomo colto fino a conseguire la laurea, se non il primordiale istinto di sopravvivenza? Un naturale bisogno di emancipazione è quel fuoco acceso nell’anima di Gavino, mantenuto vivo dall’amore per la cultura e dalla conquista della parola come arma per rompere il silenzio dell’ignoranza e la passività della sottomissione.

Poco importa se tale “rigenerazione” è stata preceduta da anni di isolamento in una natura selvaggia ed ostile, da anni di violenze perpetrate da quel “padre” presto tramutatosi in “padrone”: eventi traumatici, momenti dolorosi, sacrifici pesantissimi rappresentano elementi imprescindibili della lotta per la vita, vere e proprie molle che ci spingono a cercare la legna per alimentare il fuoco. Se non conoscessimo il buio e le asperità che incontriamo quando camminiamo nell’oscurità come potremmo infatti dire di conoscere il significato della luce irradiata dal fuoco? “Per aspera ad astra” dicevano i latini, ben prima di Ledda e del sottoscritto!

Intendiamoci: l’opera dell’autore sardo non è né un inno al cinico motto “mors tua vita mea”, né la storiella di un rampante “self-made man” de noantri: la lotta per la vita, la ribellione al peso che ci soverchia, lo abbiamo già detto, accomuna tutti e, in quanto “lotta”, prevede “vincitori” e “perdenti”, ma poco importa a quale categoria si appartiene, poco importa l’esito finale; l’importante invece è sentire l’ardore di non darsi mai per vinti, “come il montone nella sua lotta cozza e ricozza, finchè spesso vince proprio quello più piccolo e più testardo”.

Riferendosi inoltre a un destino talora crudele e beffardo nei confronti delle aspirazioni degli uomini (nell’episodio in cui il gelo distrugge l’oliveto della sua famiglia), Ledda scrive ancora: “la nostra tradizione ci indicò la via della riscossa. Il passato stesso dei pastori ci aveva insegnato la rassegnazione, a tornare subito dal sogno alla triste realtà: a riprendere la rincorsa (…). Tutti schierati e al proprio posto, però, si lottò per la sopravvivenza e si reagì con il solito spirito di conservazione”.

Come se, nella “lotta per la vita” non conti tanto la meta, quanto il viaggio che compiamo per giungere ad essa. Un viaggio durante il quale ci troveremo, prima o poi, a trascinare pesanti valigie.

Padre Padrone: L’educazione di un pastore
Gavino Ledda
Anno 1975
Edizione Euroclub (1978) su licenza Feltrinelli

Fonte piegodilibri.it