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La nascita dell’elicottero e il contributo di Corradino D’Ascanio
Corradino D’Ascanio Foto tratta da it.wikipedia.org
L’idea di un velivolo capace di sollevarsi verticalmente e stazionare in aria ha affascinato l’umanità per secoli. Già Leonardo da Vinci, nel XV secolo, concepì il progetto di una “vite aerea”, un dispositivo elicoidale che anticipava i principi del volo verticale. Tuttavia, la realizzazione pratica dell’elicottero si rivelò una sfida ingegneristica di enorme complessità, affrontata solo con l’avanzamento della tecnologia nel XX secolo. Uno dei protagonisti fondamentali di questa evoluzione fu Corradino D’Ascanio, ingegnere aeronautico italiano il cui contributo fu determinante nello sviluppo delle ali rotanti. Nato nel 1891 a Popoli, in Abruzzo, D’Ascanio mostrò fin da giovane una straordinaria attitudine per la meccanica e il volo. Dopo essersi laureato in ingegneria meccanica a Torino, prestò servizio nell’Aeronautica militare durante la Prima Guerra Mondiale, maturando una profonda conoscenza dell’aerodinamica e dei sistemi di propulsione. Negli anni Venti, D’Ascanio si dedicò alla progettazione di un elicottero funzionante. Il suo modello D’AT3, realizzato nel 1930 con il supporto finanziario della società italiana Agusta, rappresentò un passo innovativo. Dotato di un sistema di rotori controrotanti, il D’AT3 riusciva a eliminare la coppia di reazione, una delle principali difficoltà incontrate dai progettisti di elicotteri. Questo modello riuscì a decollare e mantenersi stabile, segnando un significativo avanzamento tecnologico. Nonostante il successo sperimentale, l’industria aeronautica italiana non si dimostrò particolarmente interessata allo sviluppo dell’elicottero, preferendo investire sugli aeroplani convenzionali. Deluso, D’Ascanio si allontanò progressivamente dal settore, rivolgendosi ad altre applicazioni ingegneristiche. La sua genialità trovò spazio nella progettazione della Vespa per la Piaggio nel secondo dopoguerra, rivoluzionando la mobilità su due ruote. Nel frattempo, il testimone dell’elicottero passò ad altri ingegneri, tra cui Igor Sikorsky, che negli Stati Uniti perfezionò il concetto con il celebre VS-300, dotato di un rotore principale e di un rotore di coda per contrastare la coppia di reazione. Tuttavia, il contributo pionieristico di D’Ascanio rimane fondamentale: il suo lavoro aprì la strada alle successive evoluzioni e dimostrò che il volo verticale era non solo possibile, ma tecnicamente realizzabile. Oggi, gli elicotteri sono una componente essenziale dell’aviazione moderna, impiegati in ambito civile, militare e umanitario. E, sebbene il suo nome sia spesso associato alla Vespa, Corradino D’Ascanio merita un posto d’onore nella storia dell’aeronautica per il suo innovativo contributo al sogno del volo verticale.
Eroi dimenticati: Corradino Alvino, il primo a combattere dopo l’8 settembre
Roma, 19 gen – Nei confronti del capitano paracadutista Corradino Alvino la sorte non è stata certamente benigna. Ufficiale coraggioso e capace, ha avuto il grande merito di aver riportato per primo un reparto italiano a combattere dopo l’8 settembre. Alla fine della guerra è stato perseguitato per un crimine mai commesso, abbandonato e dimenticato da tutti. La “damnatio memoriae” cui è stato sottoposto e le drammatiche vicissitudini che lo hanno colpito, sono indubbiamente legate al suo coinvolgimento nel tragico episodio della morte del tenente colonnello Alberto Bechi Luserna, eroe di El Alamen. Nato a Napoli il 19 dicembre 1913, ufficiale in SPE, Corradino Alvino non aveva esitato a compromettere la carriera ribellandosi al tradimento di Badoglio. Fedelissimo del maggiore Rizzatti, lo aveva seguito e supportato nella sua decisione di mantenere fede all’alleanza con i tedeschi nelle caotiche ore seguite all’annuncio dell’armistizio che lo aveva colto in Sardegna, inquadrato nella divisione “Nembo”.
La tragica morte di Bechi Luserna Molti ufficiali paracadutisti, dichiaratisi contrari a Badoglio, erano stati imprigionati e Bechi Luserna aveva ricevuto l’ordine di arrestare anche Rizzatti ed Alvino. Accompagnato da tre carabinieri, era stato fermato ad un posto di blocco dove aveva avuto uno scontro verbale violentissimo con Alvino, condito di reciproche accuse di tradimento. Al culmine del litigio, Bechi Luserna aveva portato la mano alla fondina ed uno dei carabinieri di scorta aveva fatto un brusco movimento con il suo mitra. Alvino aveva bloccato il braccio di Bechi con una mano ed afferrato la canna del mitra con l’altra, scostandola verso l’alto. Era partita una raffica che lo aveva fatto cadere all’indietro. Il mitragliere del posto di blocco, pensando fosse stato colpito, aveva sparato di riflesso uccidendo Bechi Luserna. Questo drammatico evento, frutto di una tragica fatalità e della concitazione del momento, segnerà per sempre la vita di Corradino Alvino. La tragica conferma alla veridicità di questa ricostruzione è data dall’assassinio del mitragliere, Benedetto Cosimo, avvenuto il 16 aprile 1944 a Roma dove era in licenza di convalescenza, rivendicato dai partigiani come vendetta contro colui che aveva ucciso il colonnello Bechi Luserna.
Corradino Alvino nella Rsi Ricostituiti reparti di paracadutisti sotto le insegne della Rsi, Corradino Alvino assumeva il comando del Btg Autonomo “Nembo”, formato da circa 300 uomini, che il 12 febbraio 1944 raggiungeva il fronte di Nettuno per completare i ranghi della 4° Div. Fallschirmjäger. Gli angloamericani erano sbarcati sul litorale laziale ed i tedeschi erano intenzionati a lanciare una controffensiva per ricacciarli in mare. Con l’arrivo a Nettuno del “Nembo”, iniziava l’epopea di Alvino e dei suoi uomini. Il loro più grande merito fu quello di riuscire a superare le perplessità se non addirittura l’ostilità dei vertici militari tedeschi che non volevano assolutamente avere al loro fianco italiani, definiti “Badoglio truppen” ed accettati solo per ragioni politiche. Riuscirono, però, a spazzare tutti i dubbi nel giro di pochi giorni, già durante il contrattacco del 16 febbraio durante il quale Alvino guidò i suoi all’assalto, conquistando le posizioni nemiche, a costo di gravissime perdite. Purtroppo, le riserve necessarie a completare l’azione furono bloccate dal terrificante fuoco di sbarramento dell’artiglieria navale ed ogni sforzo per procedere oltre risultò vano. Per gli atti di valore compiuti nel corso dei 5 giorni della controffensiva, furono assegnate 40 decorazioni e ben 19 promozioni per merito di guerra. Allo stesso Alvino fu conferita la medaglia d’oro al valor militare. Rimasto in linea fino alla fine di febbraio, il battaglione veniva ritirato per riorganizzare i ranghi in quanto, dei 300 uomini iniziali, la forza residua ammontava a 4 ufficiali, 2 sottufficiali e 125 tra graduati e paracadutisti. Contratto negli effettivi, il reparto rientrava in linea il 15 marzo assumendo la nuova denominazione di Compagnia autonoma “Nettunia-Nembo” che per evitare mortificanti riduzioni di schieramento e di compiti, costrinse i paracadutisti a moltiplicare l’impegno. Il comportamento degli uomini di Corradino Alvino aprì la strada all’impiego di altri reparti della Rsi, “Barbarigo” e “Degli Oddi”, che confermarono come ci fossero ancora degli italiani pronti a morire. Con il ritorno in linea, i combattimenti si trasformarono in una guerra di posizione: buche, campi minati, reticolati, agguati. I bombardamenti aeronavali erano incessanti provocando, uno stillicidio continuo di caduti senza che si potessero rimpiazzare adeguatamente perché dal Rgt. “Folgore” in addestramento a Spoleto, non arrivavano rincalzi poiché gli istruttori tedeschi temevano che un massiccio esodo di uomini potesse minare la compattezza del reparto. Per cercare di colmare i paurosi vuoti, Alvino aveva istituito un suo personale “ufficio arruolamento” a Piazza Colonna a Roma, accogliendo volontari pronti a donare la vita “Per l’Onore d’Italia”. Imprevedibile, vulcanico, generoso, sempre a fianco dei suoi paracadutisti nei momenti cruciali, con loro continuò a combattere coraggiosamente ed in condizioni terribili fino al 3 giugno quando ricevettero l’ordine di ritirarsi assieme alla 4 Div. Fallschirmjäger. Un pugno di uomini – i resti di quello che era stato un superbo battaglione – sfiniti ma non domi, che continuarono a lottare durante tutta la fase del ripiegamento. In quattro mesi di fronte, il “Nembo” si era conquistato l’ammirazione ed il rispetto tedeschi e la sua fama aveva travalicato i ristretti confini dei reparti con cui è stato a contatto venendo anche citato, nel solenne bollettino OKW tedesco.
Il processo-farsa del dopoguerra Alla fine della guerra Corradino Alvino venne arrestato, processato e condannato come criminale di guerra per un omicidio che non aveva mai commesso. La prigionia lo distrusse fisicamente e psicologicamente sentendosi abbandonato dai suoi vecchi camerati, lui che era stato un comandante generoso e leale con i sottoposti e mai ossequioso con i superiori. Rinchiuso poi in ospedale psichiatrico, quando ne uscì vagabondò per anni facendo perdere le sue tracce e creduto morto. Soltanto grazie alle pazienti ricerche del capitano Del Zoppo fu ritrovato e poté trascorrere serenamente gli ultimi anni di vita. Mentre nelle pubblicazioni tedesche dedicate all’eroismo dei Fallschirmjäger, Alvino viene citato ripetutamente e coperto di elogi, in Italia su di lui è calata una colpevole coltre di silenzio, quasi non fosse mai esistito. Anche la pubblicistica favorevole alla Rsi tende a dimenticare la figura di questo valoroso. A ricordarlo dopo la sua morte, avvenuta a Napoli il 7 ottobre 1990, è stato soltanto un articolo apparso su “Il Secolo d’Italia” a firma di Alfio Porrini, uno dei suoi uomini di Nettuno, nel quale traspare l’amarezza per come è stato trattato mista all’affetto per un comandante che era rimaste nel cuore dei suoi paracadutisti: “Siamo andati in pochi a Napoli a rendere l’ultimo omaggio alla salma del Cap. Alvino….Il capitano paracadutista Corradino Alvino terminò la sua vita all’età in cui oggi si è ancora protetti e vezzeggiati da tutte le tenerezze e tutte le comprensioni. A 32 anni, per un crimine di guerra non commesso, egli venne murato vivo in un crudele e folle isolamento kafkiano, vittima della ferocia settaria ma anche delle paure, delle prudenze, degli egoismi… Nei raduni dei paracadutisti tedeschi, in cui siamo considerati sempre ospiti d’onore, ci guida quello che fu l’ultimo comandante del Rgt. “Folgore”; quello che, dalla fine della guerra ad oggi, ha tenuto e tiene uniti gli uomini del reggimento: Edoardo Sala. Ma tutti noi, specialmente i pochissimi superstiti della Compagnia “Nettunia”, in tutti questi nostri incontri “sentiamo” accanto al mistico e glaciale Sala, la presenza del paterno ed informale Rizzatti e rivediamo il lampo degli occhi azzurri sotto ciglia nerissime, di quel comandante nervoso, imprevedibile, focoso, che riportò per primo il Tricolore sui campi di battaglia: Corradino Alvino”.
Mario Porrini
Scritto da La Redazione di ilprimatonazionale.it . 19 Gennaio 2020
Paola dei conti Antonelli nacque nel 1918, figlia di Giacomo Antonelli e Luisa Piva. Appartenente a una famiglia nobile, discendente del cardinale Giacomo Antonelli, influente segretario di Stato di Papa Pio IX, Paola crebbe in un ambiente aristocratico. Nel 1938 sposò il tenente colonnello Alberto Bechi Luserna, con il quale ebbe una figlia, Antonella. Dopo la tragica scomparsa del marito durante la Seconda Guerra Mondiale, Paola si risposò nei primi anni ’50 con l’imprenditore Enrico Piaggio, noto per aver creato la Vespa. In seguito al matrimonio, Enrico adottò Antonella, che divenne Antonella Bechi Piaggio e successivamente sposò Umberto Agnelli. Paola era conosciuta per il suo carattere riservato e modesto, nonostante la sua posizione sociale. Era una donna all’avanguardia, sportiva e dinamica: guidava l’auto, andava a cavallo, in bicicletta e giocava a tennis. Morì nel 1994, all’età di 76 anni, a causa di una malattia incurabile. I funerali si svolsero presso la villa di Varramista, vicino a Pontedera, alla presenza di familiari e amici, tra cui l’avvocato Gianni Agnelli e suo fratello Umberto. La sua figura è stata rappresentata nel film TV “Enrico Piaggio – Un sogno italiano”, diretto da Umberto Marino e trasmesso nel 2019, che racconta la storia dell’imprenditore e della sua famiglia.
Fonti Immagine: Umberto Agnelli e Paola dei Conti Antonelli tratta da biblotoscana.it Testo: ilsussidiario.net
Nel corso della sua storia operativa, il 26° Gruppo AVES “Giove” ha preso parte a numerose missioni nazionali e internazionali, distinguendosi per prontezza e professionalità. Dall’Operazione “Airone” in Kurdistan nel 1991, all’impegno in Somalia con l’Operazione “Ibis” (1992-1993), fino al primo storico impiego all’estero come unità autonoma durante l’Operazione “Decisive Endeavour” in Bosnia (1997). Il reparto ha inoltre fornito supporto in missioni di pace in Macedonia e Timor Est, partecipato a esercitazioni multinazionali NATO e garantito un costante contributo in operazioni di protezione civile, come nel caso dell’alluvione dell’Alta Versilia nel 1996. La lunga esperienza maturata in scenari complessi ha reso il 26° un’unità d’élite dell’Aviazione dell’Esercito, sempre pronta a rispondere alle esigenze operative nazionali e internazionali.
1990-1993 • Esercitazione “Condor Rosso” (1990) – Cooperazione con i CH-47D statunitensi del 502nd Aviation Regiment. • Operazione “Airone” (1991) – Missione umanitaria in Kurdistan con supporto alla Brigata “Folgore”. • Missione UEO in Bosnia (1992) – Monitoraggio dei confini bosniaci nel contesto del conflitto nei Balcani. • Operazione “Ibis” (1992-1993) – Partecipazione alla missione in Somalia per il mantenimento della pace. • Esercitazione “EIDES 93/1” (1993) – Addestramento operativo con impiego di EM-2 ed ERI.
1994-1996 • Esercitazione “Aquila Bianca” (1994) – Manovre a livello di reggimento. • Esercitazione “Nembo 95” (1995) – Simulazione operativa di liberazione ostaggi e combattimento. • Operazione di Protezione Civile (1996) – Soccorso nelle alluvioni dell’Alta Versilia. • Esercitazione “Eolo 96” – Partecipazione alle operazioni UEO.
1997-1999 • Operazione “Decisive Endeavour” (1997) – Prima missione estera del 26° Gruppo come unità indipendente in Bosnia. • Operazioni di MEDEVAC e supporto tattico in Bosnia – 212 missioni e 371 ore di volo sotto comando NATO. • Esercitazione “Assegai Eyes 98” (1998) – Operazioni multinazionali con l’ACE Rapid Reaction Corps. • Supporto missione in Macedonia (1999) – Fornitura di elicotteri ed equipaggi al 7° Reggimento AVES “Vega”. • Missione di pace a Timor Est (1999) – Contributo di personale per operazioni di stabilizzazione.
Queste missioni testimoniano l’elevata prontezza operativa e la capacità di adattamento del 26° Gruppo “Giove” nelle operazioni nazionali e internazionali.
“un uomo non muore mai se c’è qualcuno che lo ricorda”
(Ugo Foscolo)
Mauro Gianardi
16 febbraio 2025 “L’amico e Collega Mauro Gianardi è “andato avanti”. Un affettuoso ricordo e le sentite condoglianze degli Autieri e miei in particolare ai suoi cari”. …
25 ottobre 2020 Ti ho conosciuto nell’ 82, quando avevi 19 anni ed eri un giovane Sergente. Ho apprezzato da subito, da Comandante di Compagnia, la tua professionalità, la tua preparazione, la tua serietà, la tua onestà, il tuo altruismo, la tua bontà. …
19 maggio 1993 Giovanni Strambelli, giovane paracadutista italiano nato il 14 luglio 1973 a Bari, si distinse per il suo impegno e il suo coraggio durante la missione umanitaria delle Nazioni Unite in Somalia, nell’ambito dell’operazione “IBIS”
Il Counselor Olistico: Una Figura Professionale per il Benessere Psicofisico
Il Counselor Olistico è una figura professionale dedicata a promuovere il benessere psicofisico e la crescita personale attraverso un approccio integrato e consapevole. Operando all’interno di una visione olistica, questa figura considera l’individuo come un sistema complesso di piani interagenti che includono aspetti corporei, mentali, psicologici, relazionali, spirituali ed energetici. L’obiettivo principale del Counselor Olistico è supportare il cliente nel ripristino delle proprie risorse positive, favorendo l’autoconsapevolezza e l’armonia delle energie vitali per migliorare la qualità della vita e il senso di soddisfazione personale.
L’attività del Counselor Olistico non si rivolge a situazioni di tipo patologico e non si sovrappone alle professioni sanitarie. Questa figura non fa diagnosi mediche o psicologiche, non utilizza pratiche terapeutiche riservate a medici o psicologi e non prescrive trattamenti medici o farmacologici. L’operato del Counselor Olistico è orientato esclusivamente a promuovere l’integrazione armonica delle diverse componenti della persona, contribuendo al raggiungimento di un equilibrio psicofisico. Tale approccio è in sintonia con la definizione di salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che la identifica come uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale.
Il lavoro del Counselor Olistico si basa sull’utilizzo di pratiche di consapevolezza corporea, energetica e interiore. Queste tecniche hanno l’obiettivo di aiutare il cliente a sviluppare una maggiore coscienza di Sé, considerata il nucleo centrale dell’identità e dell’unicità di ogni individuo. Attraverso il potenziamento della consapevolezza, il cliente è guidato a riconoscere e utilizzare le proprie risorse interiori, favorendo un miglioramento generale del benessere e una più efficace capacità di espressione nel proprio contesto personale, relazionale e sociale.
La formazione del Counselor Olistico comprende un intenso percorso di crescita personale e un approfondito training di consapevolezza, elementi che contribuiscono a costruire una relazione professionale caratterizzata da sintonia, empatia e risonanza con il cliente. Questi professionisti possiedono competenze specifiche e una conoscenza approfondita di tecniche e strumenti che variano in base alla specializzazione, consentendo loro di adattare gli interventi alle esigenze individuali, di coppia o di gruppo.
L’approccio inclusivo e multidisciplinare del Counselor Olistico prevede l’integrazione di differenti modalità di intervento, sempre nel rispetto dei confini professionali e delle competenze di altre figure operanti nel campo del benessere. La centralità dello sviluppo della consapevolezza e della presenza rappresenta il fondamento del lavoro olistico, che può essere arricchito con ulteriori strumenti specifici volti a promuovere il benessere globale della persona.